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Lp: le raccolte con i Tull
Le compilations esistono da sempre. Tra la fine dei 60 e i primi anni 70 i Jethro vi erano spesso inseriti.
Mini-guida per i collezionisti

 Ci vorrebbero i segugi di Record Collector per stilare una lista completa di tutte le raccolte nelle quali, dal 1968 a oggi, sono apparsi i Jethro Tull. Per cui ci limitiamo a prendere in considerazione quelle su vinile per il valore storico che assumono agli occhi dei collezionisti; si riferiscono, soprattutto, al periodo iniziale dei Tull. Ovviamente esisterà qualche oscuro e polveroso lp di cui non sono a conoscenza, e invito quindi i tulliani collezionisti ad integrare questa lista con le perle dei loro archivi.

Negli anni 60, quando il mercato relativamente nuovo degli album a 33 giri ancora stentava (dominavano incontrastati i 45 giri), venivano pubblicate centinaia di raccolte con lo scopo di far conoscere i gruppi (non c erano ancora le radio private), pubblicare brani di band che non avevano materiale sufficiente per un lp intero oppure sfruttare i contratti discografici; non di rado, infatti, un etichetta pubblicava un antologia esclusivamente con gli artisti della propria scuderia, e quindi inserendo spesso grandi nomi insieme ad artisti quasi inascoltabili. Ecco le raccolte nelle quali compaiono i Jethro Tull (la sigla tra parentesi a fianco del brano indica la posizione nell Lp; ad esempio B2 significa secondo brano della facciata B).

You Can All Join In, Island maggio 1969 (IWPS-2), UK. Brano dei Tull A Song for Jeffrey (A1).

Questo è davvero un bel pezzo la foto di copertina ritrae band che hanno fatto la storia, dai Fairport Convention di Sandy Denny ai Free, dagli Spooky Tooth ai Traffic di Steve Winwood. Compare anche (a sinistra con baffi, barba e occhiali) l altro Ian Anderson, un discreto folk singer passato però alla storia più per l omonimia che per le sue incisioni. Era un periodo fertile e la Island disponeva di artisti di grande calibro la freschezza giovanile e l'entusiasmo delle band è resa bene dalla foto di copertina. L' immagine, un po tagliata, esclude Clive Bunker e Richard Thompson! Su Record Collector n. 208 (dicembre 1996) ci sono due lunghi e dettagliati articoli dedicati a questa raccolta e in particolare alla foto di copertina. Nel mercato del collezionismo, oggi, vale circa 45.000 lire.

Nice Enough to Eat, Island novembre 1969 (IWPS 6), UK. Un brano dei Tull.

Altra raccolta Island, di cui però non sono in possesso e non conosco, quindi, il brano dei Jethro inserito. Alcuni anni fa la Island ha edito il cd Nice Enough to Join in (IMCD 150) che comprende questa raccolta e You can all join in , ma sono stati esclusi per motivi di spazio i brani di Jethro, Fairport e King Crimson.

British Blues Adventures vol. 1, Island 1969 (ILPS 90-94), F. Brani dei Tull Living in the Past (A1), A Song for Jeffrey (A5).

Agghiacciante copertina francese, un misto fra Fausto Papetti e la psichedelia da oratorio. Decisamente orientato sul blues (ci sono anche i Tramline, che dividevano spesso con i Tull il palco del Marquee di Londra), il disco vede i Jethro fare la parte dei leoni, con due brani. Non ho notizie di un eventuale volume 2.

London Pop News, Island 1969 (83514 UFY), D. Brano dei Tull A New Day Yesterday (A1).

Per il mercato tedesco la Island propose una raccolta di taglio londinese che raccoglieva i fermenti musicali più freschi nella capitale inglese al crepuscolo dei Sixties; album piuttosto raro e interessante per la scelta degli artisti (Quintessence, Traffic, Clouds); i Jethro non solo compaiono, ma sono protagonisti di una delle due pagine interne (l album si apre , l altra facciata è per i Renaissance); immancabili i Blodwyn Pig (con Dear Jill). La copertina non è molto meglio del disco francese c è un toro dipinto con i colori della bandiera inglese che marcia alla conquista del mondo. All epoca non si parlava ancora di mucca pazza...

Bumpers, Island 1970 (IDP-1), UK. Brano dei Tull Nothing to Say (B2).

Un altro classico della Island bella raccolta, accompagnata a suo tempo da un discreto successo, anche per la presenza di alcune versioni diverse rispetto a quelle contenute negli Lp originali. Purtroppo la versione di Nothing to Say dei Jethro inclusa in questo doppio lp è la stessa di Benefit, anche se piuttosto ovattata. L album (che si apre ) contiene all interno una bella foto a colori dei Tull; tra le vecchie conoscenze ci sono anche i Blodwyn Pig. La quotazione oggi si aggira tra le 45 e le 60.000 lire.

El Pea, Island 1971 (85 378 XT), D. Brano dei Tull Mother Goose (B1).

Questo vinile doppio gira con una certa frequenza durante le fiere del disco (quotazione tra le 30 e le 40mila lire); il titolo è un gioco di parole, tra pisello (pea, in copertina) e Lp (stessa pronuncia, in inglese). All interno gli artisti sono disegnati, secondo una moda abbastanza in voga all epoca. Ottima la selezione degli artisti; ne cito alcuni Traffic, Fairport Convention, Quintessence, Tir Na Nog, Free, McDonald&Giles, Incredible String Band, ELP, Nick Drake, Amazing Blondel, Mountain, Sandy Denny e l immancabile Mick Abrahams.

Esto es&, Chrysalis 1972 (64 99 250/251), E. Brani dei Tull Thick as a Brick (A1, C1).

Questa pubblicazione spagnola rappresenta un particolare filone all interno di queste raccolte, ovvero quello regionale . In questo caso la Chrysalis spagnola curò l edizione di questo doppio album molto interessante per i fan dei Jethro, non tanto per la doppia presenza di Thick as a Brick, quanto per i brani dei Wild Turkey (Glenn Cornick) e Blodwyn Pig (Mick Abrahams). L album è di difficile reperibilità fuori dalla Spagna.

Rare Tracks, Polydor (2384076). Brano dei Tull Aeroplane.

Questo disco è stato a lungo molto ricercato dai collezionisti proprio per la presenza di Aeroplane, il primo singolo dei Jethro (Toe!). La pubblicazione del brano nel cofanetto per i 20 anni dei Jethro Tull lo rese ovviamente meno appetibile.

The Marquee 30 Legendary Years, Polydor 1989 (MQTV 1), UK. Brano dei Tull Living in the Past (B5).

Qui facciamo un salto in avanti nel tempo. Per celebrare i 30 anni del locale più noto della Londra che mutava pelle dal beat al progressive, la Polydor ha pubblicato un antologia che brilla per i nomi prestigiosi, ma manca un po di originalità (forse qualcosa di meno ovvio di Living in the Past si poteva pretendere).

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LONDRA 1967: I JETHRO TULL AL MARQUEE CLUB

Gli ingredienti della storia, ormai, li sapete tutti: la swinging London travolta dal blues revival sul finire dei Sessanta; una giovane band di Blackpool guidata da un capellone che tiene in un sacchetto flauti e armoniche; il nome del gruppo che cambia di settimana in settimana; le personalità di Abrahams e Anderson che si scontrano. E infine la nascita dei Jethro Tull. Nelle leggenda degli inizi, nei quali i Jethro Tull fecero le prime prove al Crown, il pub nelle vicinanze di Londra tenuto dai genitori di Cornick, un posto fondamentale lo occupano le presenze al Marquee, il locale più importante - all’epoca - sulla scena musicale inglese. Sfondare al Marquee significava essere proiettati nell’Olimpo. Per le fumose stanze del locale al numero 90 di Wardour Street a Soho (fu poi chiuso e riaperto, ma in anni recenti, a Charing Cross) passarono più o meno tutti: Rolling Stones, Yardbirds, Cream, John Mayall, Fleetwood Mac, The Who, Joe Cocker, Traffic, Ten Years After, Colosseum, Free, Fairport Convention, tanto per fare qualche nome. Anche i Jethro Tull giunsero al Marquee. E fu lì che si crearono una solida fama nel circuito underground londinese, fino all’“esplosione” al festival di Sunbury nell’agosto del ‘68. L’ovazione del pubblico agli sconosciuti Jethro era dovuta proprio alla frequentazione al Marquee dove sera dopo sera Ian, Clive, Mick e Glenn avevano conquistato il pubblico. Ecco una “storia” delle apparizioni al Marquee documentate dai programmi dell’epoca, giunti alla redazione di Itullians grazie a Glenn Cornick e Clive Bunker.

GLI ESORDI  - La sera di lunedì 19 giugno 1967, con il nome di John Evan Smash, una band appena giunta da Blackpool in cerca di fortuna fa il suo esordio al Marquee Club di Londra: di lì a poco diventerà - con parecchi cambiamenti di organico - uno dei più importanti gruppi rock della scena mondiale: i Jethro Tull. Il lunedì è la sera meno prestigiosa in calendario, adatta agli esordi o ai nomi di secondo piano e senza prevendita. I John Evan Smash sono segnati per secondi in cartellone dietro The Herd (che sono pure scritti in maiuscolo). L’orario del club è dalle 19.30 alle 23 (20-23.30 il sabato, 19.30-22.30 la domenica), l’ingresso 5 scellini per i membri del club, 7/6 per gli altri.

Il debutto non è un boom, ma nemmeno un disastro visto che il segretario del Marquee (John C. Gee) mette nuovamente in calendario la John Evan Smash venerdì 4 agosto. Già meglio di lunedì, ma il prezzo di ingresso è lo stesso, il nome è ancora scritto in piccolo mentre gli sconosciuti The Creation vantano il primo posto sul cartellone.

Sono mesi difficili per il gruppo di Blackpool: qualcuno torna a casa, altri preferiscono studiare. Chi invece va avanti (come Ian e Glenn) torna alla carica, questa volta con il nome di Navy Blue: con questa denominazione i futuri Jethro si esibiscono la sera di giovedì 16 gennaio 1968 al Marquee. Giovedì è una serata importante, è la “star night”, quella dei nomi di grido e con i prezzi più alti (7 scellini e 6 pence per i soci, con prevendita dal 6 gennaio, ben 10 per gli altri, i cosiddetti “guests”). La serata si intitola “Blues Spectacular” e vede in cartellone (scritti in maiuscolo) i Fleetwood Mac di Peter Green e Eddie Boyd; in piccolo vengono citati anche i Navy Blue.

JETHRO TULL - La prima esibizione al Marquee con il nome che segnerà la carriera di Anderson & C. è del 2 febbraio 1968. E’ un venerdì (ingresso 6 scellini per i soci, 8 e 6 per gli “ospiti”), la serata ha ancora un’intonazione blues (“Blues Night”) e il primo nome in cartellone - già in maiuscolo - è quello dei Savoy Brown. Nel programma del mese successivo i Jethro Tull vengono menzionati per la prima volta nelle note di presentazione delle serate. Scrive John Gee: “Tenete d’occhio una nuova scoperta del Marquee, i Jethro Tull, che si stanno costruendo un gran seguito con accoglienze in delirio”. Non male: i Jethro in marzo suonano venerdì 15 e 29 per le consuete Blues Night, ma non sono ancora l’attrazione principale, dovendo fare da spalla la prima volta agli  Aynsley Dunbar Retaliation e la seconda ai Fleetwood Mac.

Aprile 1968 è un mese importante per il Marquee, che il 10 celebra dieci anni di attività. Aprile è  importante anche per i Jethro: per la prima volta il loro nome appare in “big letters”: accade lunedì 15 (giorno di festa, è il lunedì dopo Pasqua). La “Special Easter Monday Attraction” vede sul palco Bonzo Dog Doo Dah Band e Jethro Tull. Pochi giorni dopo, giovedì  23, i Jethro sono di nuovo al Marquee, pur non essendo segnati nel programma mensile: “aprono” la serata niente meno che per gli Who (ingresso 15 scellini, 12 e 6 per i soci). Glenn Cornick festeggia quella sera il suo ventunesimo compleanno.

RESIDENCY - In maggio i Jethro Tull ottengono la prestigiosa “residency” al Marquee, ovvero entrano stabilmente nel cartellone del club con serate a scadenza fissa (ogni due venerdì). “Non era sempre la stessa la gente al Marquee - ricorda Glenn - continuava a cambiare e molti erano incuriositi da Ian e soprattutto dal suo sacchetto da cui tirava fuori le cose più strane. Si passavano la voce e venivano a vederci. Senza accorgercene stavamo creando un seguito numeroso”. Venerdì 3 per la prima volta i Jethro Tull (in maiuscolo) sono l’attrazione principale. il gruppo spalla si chiama The New Nadir; suonano poi il 17 (insieme ai Taste di Rory Gallagher) e il 31 (“support act”: The Spirit of John Morgan). Stessa storia in giugno: i Jethro si esibiscono venerdì 14 (“apre” Duster Bennett) e venerdì 28, con i Tramline a fare da  spalla (questa band apparirà insieme ai Jethro nella compilation Island del 1969 “You Can All Join In” con la cover Pearly Queen dei Traffic).

In luglio comincia a crescere l’attesa per il “Jazz, Blues & Popular Music Festival” che si tiene al Kempton Park di Sunbury-on-Thames il 9, 10 e 11 agosto. Giunto all’ottava edizione, questo festival organizzato e promosso dal Marquee è uno degli eventi musicali dell’anno nell’Inghilterra dei tardi ‘60. Sono annunciati Traffic, John Mayall, Jeff Beck, Nice, Ten Years After, Taste, Joe Cocker, Roland Kirk, Incredible String Band e Tyrannosaurus Rex. I Jethro non sono menzionati nella pubblicità, ma continuano a tenere la scena al Marquee il venerdì sera: il 5 luglio suonano accompagnati dai Thackery e il 19 dalla Dynaflow  Blues Band.

LA CONSACRAZIONE  - “Festival Time” titola il programma del Marquee di agosto. E John Gee (diventato nel frattempo “manager” del club) annuncia per la serata finale di domenica 11 blues a forti tinte: John Mayall Bluesbreakers, Chicken Shack, Jethro Tull e Spencer Davis Group riuniti a Stevie Winwood. Per i Jethro Tull è il trionfo: la gente impazzisce, la stampa inglese dedica titoli  cubitali a Ian Anderson. I Jethro Tull ce l’hanno fatta. Grazie anzhe al Marquee, dove si esibiscono il 9 (la spalla sono gli eccellenti Black Cat Bones) e il 23 (di nuovo con Duster Bennett). Ma da settembre irrompono nella “star night”: giovedì 3 c’è il pienone per vedere i Jethro Tull. Il biglietto, con  prevendita dal 27 agosto, ha prezzi elevati: 8 scellini e 6 (7 per i soci).

In ottobre esce This Was, l’album d’esordio dei Jethro, che incidono anche il brano “One for John Gee” in segno di gratitudine al manager del club; i Tull compaiono una sola volta al Marquee in questo mese: venerdì 11 con John Morgan come spalla. Chi frequenta il club, intanto, ha la possibilità di vedere  all’esordio in questo mese niente meno che gli Yes, i Free e, il 18 ottobre, il primo concerto in assoluto dei Led Zeppelin, che in cartellone appaiono come New Yardbirds. Giovedì 26 novembre, per la diciannovesima volta, i Jethro Tull suonano al Marquee: costa ben 10 scellini (7/6 per i soci) la serata dove i bakerloo Blues Line fanno da spalla. Ma per i Jethro sono in vista ormai traguardi più importanti: mentre Mick Abrahams divorzia dal gruppo e inizia la ricerca spasmodica di un chitarrista (viene provato anche Dave O’List, chitarrista dei Nice incontrato molto spesso al Marquee nei mesi precedenti) la band è pronta per i primi concerti oltre Manica e la  tournée di debutto negli States. Non torneranno mai più a suonare al Marquee di Wardour Street 90, Londra. 

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 LA BIBLIOTECA DEI JETHRO TULL

Fino alla recente pubblicazione del volume di Giovanni Zito, si può dire che per i fans italiani ci fosse ben poco da leggere sui Jethro Tull, anzi proprio nulla. Tranne i rari articoli ospitati dalle riviste di musica o le recensioni sui quotidiani in occasione dei concerti, in Italia nessuno ha mai pensato (prima di Giovanni,  che ha lavorato per anni al “Flauto nella roccia”) di pubblicare né una storia del gruppo, né i testi delle canzoni, cosa che invece avviene per qualsiasi altro “artista”.

Qualcosa, comunque, esiste in altre lingue, pur essendo di difficile reperibilità. Ma non disperate: all’orizzonte pare ci siano finalmente un paio di volumi nuovi. Uno lo sta scrivendo un canadese, l’altro David Rees, il curatore di “A New Day”. Saranno, ovviamente, in inglese e dovrebbero vedere la luce nel ‘98. Ecco intanto una breve guida ad una biblioteca “tulliana” (se qualcuno - ma non sarà facile - fosse a conoscenza di altri testi può segnalarlo).

- To Be the Play, di Brian Meyers, pp. 140, Fishergate, 1978, Stati Uniti. Probabilmente il primo libro che riguarda i Jethro Tull, stampato in poche centinaia di copie. La copertina, rossa, riporta i volti delle maschere che richiamano Passion Play. E’ una sorta di romanzo dove il protagonista si ritira a meditare sulla musica dei Jethro Tull, analizzata in maniera molto personale (una delle chiavi di lettura è, per fare un esempio, che nei testi di Anderson la parola “lei” si riferisca alla musa ispiratrice dell’arte, insomma alla musica). Per essere compreso questo volume richiede una conoscenza dell’inglese di livello altissimo e possibilmente anche un po’ di cognizioni letterarie e di analisi strutturale del testo. Non stupisce che alcuni (un nome? David Rees) lo abbiano giudicato assolutamente illeggibile. Personalmente lo ho apprezzato molto, ma non dà alcuna informazione sul gruppo.

- Jethro Tull, a cura di Marcos Regos, pp. 155, Mparmpounakes 1978, Grecia. Una vera rarità (in possesso del vice-presidente, *@§grr...#*!!). Si tratta di un volumetto in greco che, a parte due facciate di introduzione, una caricatura di Anderson e una foto in bianco e nero del ‘77, contiene solo le traduzioni di tutti i testi fino a M.U Repeat  con il testo originale a fronte). L’aver frequentato il liceo classico non basta a farmi capire se il livello delle traduzioni è buono. La foto di copertina è quella pubblicata sul retro di  “Heavy Horses”.

- Jethro Tull, di Javier de Juan, ediciones Jùcar Los Juglares, prima edizione aprile 1984, Spagna. Anche gli spagnoli ci hanno preceduto: il volumetto è un tascabile che copre la storia del gruppo fino al 1982. Comprende una scheda di tutti i membri dei Jethro (non accuratissima), un capitolo su “La censura e i Jethro Tull” e uno sui Tull in Spagna (nel ‘74, nel ‘76 e nell’82). Ci sono anche parecchie  traduzioni in spagnolo dei testi (con l’originale a fronte) fino a “Stormwatch”,  la discografia suddivisa in lp, singoli e bootleg, e un po’ di foto in bianco-nero. In copertina c’è una foto a colori di Ian che suona il flauto nel 1982.

- The Phantoms of 3000 Years, di Alan J. Hodgson, pp. 44, A.J.Hodgson 1993, Inghilterra. Non è propriamente un libro, ma un libriccino che parla dei miti che si incontrano nei testi dei Jethro Tull, da “Cold Wind to Valhalla” a “Jack-in-the-Green”, da “Songs From the Wood” a “Coronach”. Testo eminentemente letterario è di grande aiuto per chi, sapendo discretamente l’inglese, vuole conoscere più a fondo la mitologia nordica che ha caratterizzato i Tull soprattutto nei tardi anni Settanta.

- Jethro Tull Complete Lyrics, a cura di Karl Schramm e Gerard J. Burns, pp. 291, Palmyra 1993, Germania. E’ la prima edizione del libro che contiene tutti i testi delle canzoni dei Jethro Tull fino al 1993. Una bella edizione, con copertina rigida, molto curata, corredata da alcune foto inedite in bianco-nero. Contiene un’introduzione in inglese di 19 pagine di Ian Anderson che parla (sotto forma di dialogo) degli album dei Jethro. Più che sulle singole canzoni, Ian racconta l’atmosfera legata ai dischi. I testi hanno avuto l’approvazione di Anderson, e sono quindi da considerarsi i più fedeli all’originale. Il volume copre l’intera produzione fino a Catfish Rising compreso. Esiste anche un’edizione con le traduzioni  in tedesco.

- Jethro Tull Complete Lyrics, a cura di Karl Schramm e Gerard J. Burns, pp. 291, Palmyra seconda edizione 1996, Germania. La seconda edizione si estende fino a “Roots to Branches”, comprende anche “Nightcap” e ha un’introduzione rivista e allargata (sempre di Anderson) a ventun pagine. Si trova solamente nel box nero “The Ultimate Set” col video dei 25 anni (americano) e il picture di Aqualung.

- Dalnok a Balkonon, di Gobolyos N. Laszlo, pp. 241, Multimedia Budapest, 1995, Ungheria. Bellissimo volumetto corredato da parecchie foto pubblicato in Ungheria dove i Jethro sono famosissimi (ricordate Budapest?...). Peccato che sia assolutamente incomprensibile (il titolo, più o meno, vuol dire Minstrel in the Gallery). L’anno scorso è anche uscita una seconda edizione aggiornata. L’autore ripercorre l’intera storia del gruppo, con schede su tutti i membri dei Jethro, recensioni discografiche e qualche traduzione. Un esempio? Thick as a Brick si dice “Teljes Szoveg”.

- Il Flauto nella Roccia, di Giovanni Zito, pp. 192, ed. Geronimo 1997, Italia. Come abbiamo già avuto modo di dire, è la storia dei Jethro Tull dalle origini ai giorni nostri, corredata dalla discografia, ricca di fotografie e impreziosita  da citazioni di interviste e articoli italiani e stranieri. E’ l’unico volume aggiornato sulla storia dei Jethro Tull attualmente in commercio.

- Le altre pubblicazioni: oltre agli articoli più o meno ampi (a questo aspetto potremmo dedicare un capitolo più avanti), ai dibattiti su Internet e alle fanzine (le trovate tutte a pagina 2, la migliore è senza dubbio “A New Day”, nata nel 1985 e arrivata al numero 60), in tema di pubblicazioni esistono i Tour Programs venduti nelle varie tournée dei Jethro, dal 1969 in avanti, e gli spartiti di parecchi album, spesso corredati da articoli o note di commento (molto bello, ad esempio, “Songs From the Wood”). Una segnalazione particolare  meritano i lavori di Steve Parkhouse e Steen Hartov: il primo, inglese, nel 1994 ha compilato una lista (56 pagine) di tutti i concerti dal vivo tenuti dai Jethro catalogati sia in ordine cronologico che alfabetico; il secondo, danese,  sta tuttora lavorando sulla catalogazione di tutti i dischi, cd, cassette dei Jethro Tull editi nel mondo.  Esiste già una prima bozza in poche copie (103 pagine). Speriamo che tra breve sia disponibile per tutti. Infine il primo numero di “This is not the way Ian planned it” è una pubblicazione a sé: è un libricino di  52 pagine che elenca tutti i bootleg sui Jethro Tull (aggiornato al 1991).

- La rarità. Non proprio sui Jethro Tull, ma su Jethro Tull, l’agronomo inglese del diciottesimo secolo da cui prende il nome il gruppo, esistono alcuni volumi (tutti in inglese) negli scaffali dedicati all’agricoltura nelle migliori librerie o biblioteche del Regno Unito. Fra tutti segnalo un bel volume ormai d’epoca, English Farming Past and Present, di Rowland E. Prothero, 504 pp., Longmans,  1912, Inghilterra. Oltre a riportare una massima di mister Jethro Tull sul frontespizio, il libro dedica un ampio capitolo (il VII, “Jethro Tull e Lord Townshend”, pp. 148-175) alla vita e alle opere del nostro “eroe”.

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AUTUNNO ‘99: IL TOUR EUROPEO

Lo scorso novembre i Jethro sono tornati in Italia - dopo le cinque esibizioni estive - per proporre due date a Milano e Roma nell’ambito dell’ultima parte del tour ‘99. Con poche novità, a dire il vero: doveva essere il Dot Com tour, ma a parte i nuovi tour programa (in cui Itullians non è stato dimenticato!!) solo quattro brani del nuovo disco sono stati inseriti in scaletta. Ecco il resoconto dei concerti italiani e inglesi.

MILANO, 10 NOVEMBRE 1999

Dopo un tragico viaggio di trasferimento (l’agenzia italiana, cambiata rispetto all’estate e quindi priva delle amorevoli cure di Raffaella) i Jethro arrivano a Milano. In treno. Tranne Anderson che, una volta entrato nello scompartimento prenotato e avendo scoperto che si trattava di un reparto fumatori senza possibilità di cambiare, se ne è andato per i fatti suoi con la moglie in aereo. Che idea potrà farsi dell’Italia?
Per i Jethro il Palalido è una novità, ma a Milano la band si è esibita diverse volte dal lontano 1971, anno dell’esordio assoluto in Italia al Teatro Smeraldo. Il presidente e il giovane filosofo Persio Tincani accompagnano al palazzetto Martin Barre e Jonathan Noyce (con l’auto di Persio: non sarà mai più lavata, ndr). Nonostante il viaggio difficile e un po’ di stanchezza che affiora, l’atmosfera della band è estremamente rilassata. Ian pensa a Shona, Martin allo chardonnay, Giddings alle ragazze, Jonathan a Raffaella e Doane Perry... E’ difficile dire cosa faccia Doane, generalmente il più solitario della band e sicuramente quello che va a dormire prima.
L’acustica del Palalido non è delle migliori (soprattutto dall’angolo dove ero io!), lo show ripete quello di Roma della sera prima ed è incredibilmente corto, anche perché Anderson non si prodiga certo in chiacchiere e i brani si susseguono senza sosta. Scenicamente sono tre le novità rispetto al tour estivo, e segnano un gradito ritorno alla teatralità tipica dei Jethro che si era spenta nel corso degli ultimi anni. Dunque: durante l’assolo di Nothing is Easy Ian Anderson fotografa Martin Barre da varie posizioni; poi Hunting Girl viene stoppata (tecnicamente in maniera sensazionale) dal suono di un telefono, come accadeva nel lontano ‘73. Anderson fatica a trovare l’apparecchio, poi scopre che si tratta di un cellulare e risponde: “Sì, sono io... beh, a dire il vero siamo in mezzo ad un concerto. Comunque dica: cerca una biondina vestita così e colà in prima fila, ah sì eccola insieme a un ragazzo”. Poi le passa il telefono: “E’ suo marito!”. Non sono certo che il dialogo quella sera fosse esattamente questo, perché ha diverse varianti, cioè puà essere la moglie che telefona e cerca il marito, ma la gag è comunque carina. Il telefonino - ovviamente finto ma autografato da Anderson - è finito giustamente nelle mani di Sara, una delle pià sfegatate tra le nostre Tulliane. Complimenti!?
La terza trovata scenica è un grande coniglio (si tratta di Midge, uno dei tecnici dei Jethro da tantissimi anni con la band): durante Kelpie sale sul palco per cercare gli occhiali che ha perso, mimando dunque The Story of the Hare Who Lost His Spectacles finché Martin trova gli occhialoni bianchi e la lepre (Hare in realtà è la lepre, non i coniglio) se ne va contenta. Per il resto a Milano si assiste al consueto show ben suonato, con Anderson più impegnato del solito a stare su una gamba sola, un ottimo intermezzo acustico, la primizia di Boris Dancing - che riscuote consensi - e quattro brani da Dot Com. La title track risulta il brano più debole della serata: cantato male e suonato troppo lento. Come dirà poi Jonathan: “Succede, a volte, che un brano senza un motivo particolare venga male. Aspettavamo solo che finisse”. Non male invece Hunting Girl, brano non eccelso ma di sicuro impatto dal vivo. Purtroppo è già uscita dalla scaletta “The Clasp”, suonata fino a qualche giorno prima in Germania. Rispetto al tour estivo mancano sono state abbandonate This is not Love, Bourrée e Budapest, sostituite da Boris Dancing, Hunt by Numbers e Awol.

GLASGOW, 22 NOVEMBRE 1999

La collaudata truppa di Itullians affronta l’ennesima trasferta inglese. Insieme al presidente e al professore ci sono Kallarma Maurizio e il fido Paolino, diventato fan a forza di concerti, McDonald e after-show con la band. Per tutta la tournée inglese i Jethro sono accompagnati dalla cantautrice americana Victoria Pratt-Kitting, veramente brava e coinvolgente nella mezz’ora in cui tiene il palco prima dei Jethro. Con due ospiti: in un brano Andy suona le tastiere (con il cappello in testa e senza guardare il pubblico) e in un altro Ian suona il flauto live (!) da dietro le quinte.
Il set è identico a quello sentito a Roma e Milano, ma cambia l’atmosfera: Anderson parla a lungo di fronte ad un pubblico che lo può capire e l’atmosfera rilassata è resa accogliente dalla calorosità degli scozzezi e dal bel teatro, la Royal Concert Hall. Il risultato è una durata del concerto leggermente maggiore. I pezzi acustici sono ancora una volta tra i più riusciti.

CAMBRIDGE, 26 NOVEMBRE 1999

Un evento segna questa serata, e fa passare in secondo piano l’esecuzione di Witch’s Promise al Corn Exchange di Cambridge, una delle sale con la peggior acustica del Regno Unito, come del resto mi aveva anticipato Anderson a Milano con un ottima battuta: “Ah, vieni a Cambridge? C’è un’acustica tragica, ti consiglio di ascoltare il primo pezzo, poi andare al bar e tornare solo per il bis. Penso che farò così anch’io”.
Ma torniamo all’”evento”: alla fine di Steel Monkey Ian prende il flauto e voltando le spalle al pubblico vi monta il microfonino durante il finale strumentale. Ma quella sera qualcosa va storto: a Ian cade il preziosissimo flauto; è uno strumento da diverse decine di milioni ed è l’unico così prezioso in tour, gli altri flauti al seguito - pur ottimi - sono leggermente inferiori e questo spiega anche perché Ian tratti lo strumento con religiosa ossequianza anziché farlo roteare come un tempo (peccato). Comunque accade il fattaccio: Ian ha la faccia di una madre a cui è caduto il neonato per terra. Doane Perry, nascosto dietro i tamburi, non si accorge di nulla e attacca For a Thousand Mothers prima di venire fermato dal resto della band che si sbraccia. Silenzio imbarazzato: Giddings suona come nei piano-bar per colmare il silenzio emntre Anderson - visibilmente furioso - controlla il flauto. Niente di serio, evidentemente, perché il concerto prosegue. Ma Anderson diventa un altro: non parla più con il pubblico, lancia occhiate di fuoco a tutti i membri della band, va a dire qualcosa a un tecnico al momento dell’assolo di Serenade, ritardandolo di un giro in maniera imbarazzante, confonde Stand Up con This Was e invita uno del pubblico “se fa un altro flash a infilarsi la macchina fotografuca su per...”.
Serata rovinata: non tanto per i fans che gustano comunque un buon concerto, impreziosito da Martin in serata di grazia, quanto per noi Itullians, che avevamo appuntamento con la band dopo il concerto. C’erano tutti e quattro, tranne il furioso Anderson che se ne è andato in camera senza salutare nemmeno gli altri Jethro. Bel carattere, eh? E’ il prezzo che paghiamo volentieri per la sua genialità, del resto. In fondo mica dobbiamo viverci insieme, no?
Tornando al concerto, è stata introdotto (in più, senza togliere alcun brano) Witch’s Promise, canzone leggendaria dei primi Jethro di difficile resa dal vivo. Per vari motivi: il primo è la voce, non più all’altezza per questo brano, il secondo è l’atmosfera della registrazione originale che non si riesce a ricreare su un palco. Se si aggiunge che manca la pastosità di Cornick a fare da collante (Jonathan deve studiare un po’ di più...) il risultato è migliore per la rarità dell’esecuzione che per il risultato. Almeno fino a metà della canzone, perché poi Ian ha un colpo d’ala e la seconda parte strumentale - riscritta - è davvero eccellente.

LONDRA, 30 NOVEMBRE 1999

Shepherd’s Bush è uno dei luoghi più classici del circuito musicale londinese. Un teatro piccolo ma grazioso dove si alternano bei nomi della scena musicale, vecchia e nuova. I Jethro suonano per due sere consecutive, entrambe sold-out. Londra rappresenta anche l’occasione per un meeting dei fans europei “storici”. Ecco allora David Rees e Martin Webb che giocano in casa, Gerrit de Geus dall’Olanda, Julien Kifier dal Lussemburgo. E ancora: volti noti dalla Germania e persino dalla Polonia. Pensate che vittoria per l’Italia: Itullians non solo è segnalato sul tour program ufficiale, ma noi siamo gli unici invitati al party che si tiene nel bar del teatro dopo il concerto! Ci sono tutti i Jethro, la casa discografica (con il mitico Chris Wright!) che proprio quella sera fa porre alla band alcune firme contrattuali, parenti e amici. La famiglia di Anderson è al completo, compresi i figli James e Gail.
Il set non subisce variazioni rispetto a Cambridge, ma la qualità dell’esecuzione - aiutata dall’ottima acustica - è superiore. A partire da Witch’s Promise, cantata con molta più convinzione rispetto a qualche sera prima e introdotta così da Anderson: “Questo è un pezzo che per quasi trent’anni non abbiamo suonato dal vivo. E adesso capirete perché!”. Ian è in gran forma, ci tiene ad intrattenere il pubblico londinese a colpi di battute e di pose attinte al suo ampio repertorio. Encomiabile Martin, sempre perfetto sul palco e amatissimo dal pubblico inglese.
Mentre scorrono i bis, da Aqualung a Living in the Past, mi chiedo come diavolo faranno a interpretare questi pezzi con entusiasmo dal momento che li avranno suonati almeno cento volte negli ultimi sei mesi. Eppure lo show funziona, il pubblico non sta più nelle sedie quando attacca Locomotive e i boati per l’assolo di Aqualung sono ormai di rito. Diciamocelo (spero di non offendere nessuno, non è mia intenzione): si va ad un concerto dei Jethro come si va in Chiesa, sicuri di assistere ad un rito che già conosciamo ma non per questo ha meno valore. Ogni tanto, però, c’è anche aria di miracolo, e allora Ian tira fuori qualcosa dal suo cilindro e illumina la serata in maniera inattesa. E’ successo mille volte. Succederà ancora. Cheerio.

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LIVE 1991-1993

LE TOURNEE ITALIANE DEI JETHRO TULL (3)

Si conclude la storia delle tournée italiane dei Jethro Tull con le apparizioni nei primi anni ‘90, da Catfish Rising al tour dei 25 anni, con la recensione “concerto per concerto”. Per alcuni anni, in seguito, i Tull hanno un po’ trascurato l’Italia, ritornando però nel 1997 con ben cinque concerti (non era mai accaduto prima), forse grazie anche alla nascita di Itullians. La tournée del ‘97 è già stata trattata nel numero 3.

1991 BLUES E PUB

Due anni era durata l’attesa. Ma ne era valsa la pena: i concerti dell’ottobre 1991 avevano ripagato in pieno le aspettative; il tour promozionale di Catfish Rising presentava al pubblico italiano i Jethro in grande spolvero, con un Anderson rivitalizzato (pareva molto più giovane rispetto all’89, più asciutto e muscoloso), un palco a metà strada tra un pub e una pizzeria, e una scaletta di grande impatto dove, al fianco dei classici (alcuni “rivisitati”) trovavano spazio le venature blues del nuovo disco, un ottimo prodotto che ha perso smalto solamente quando è uscito il capolavoro Roots to Branches, che ha dimostrato quanto possa ancora “osare” Anderson.

Forlì 12 ottobre, Palafiera. Data di debutto italiana. Non mancano i “miti” di Itullians (c’è l’avanguardia storica: Dino, Wazza Kanazza, Nando) anche se meriterebbero un’acustica migliore di quella del palazzetto dove si gioca a basket a Forlì. Dopo la scenetta iniziale (i roadies, vestiti da cuochi e camerieri corrono su e giù per il palco) Anderson fa un ingresso molto teatrale: appare dal buio seduto accanto ad un tavolino nella parte più alta del palco e, con ironia, intona Minstrel in the Gallery con la chitarra acustica (a proposito, grande novità tecnica: addio vecchie, gloriose Martin acustiche, arriva una semielettrica Guild che in realtà lascia un po’ a desiderare). Nemmeno il tempo di riandare con la memoria all’Anderson di “Minstrel” che la band attacca una potentissima Cross-Eyed Mary. Eccellente.
La formazione è la stessa del 1989, con Perry ormai parte integrante dei Tull e Martin Allcock che invece comincia a mostrare la corda: i suoi limiti alle tastiere condizionano la scaletta e le incisioni (per Catfish Rising era già stato chiamato Giddings, che entrerà nel gruppo dopo pochi mesi).
Molto spazio viene concesso al materiale nuovo, dove convince soprattutto la ballata Rocks on the Road; tra le news anche un brano praticamente inedito: White Innocence appare infatti solo nella versione cd di Catfish Rising che all’epoca non aveva la diffusione di oggi. A differenza dei successivi concerti italiani Anderson propone anche un bel blues, Sleeping with the Dog, che lascerà spazio a Milano e Verona alla più nobile My God.

Milano 13 ottobre, Palatrussardi. Stessa “arena” di due anni prima. A parte My God, nessuna differenza con la sera precedente. Il solito Martin suona alla perfezione e ci fa capire che anche un brano come Paparazzi - qui in versione strumentale - conteneva qualcosa di buono (accidenti a Vettese e alla batteria elettronica...). My God si conferma uno dei pezzi immortali dei Jethro, Serenade to a Cuckoo e Living in the Past sono due inattesi quanto graditi “ritorni” dopo alcuni anni; la voce è più che buona. Molto divertente la presentazione finale, con Anderson intento a prendere in giro imembri della band.

Verona 14 ottobre, Palasport. Altro brutto palazzetto, ma altro ottimo concerto. Il set è lo stesso del Palatrussardi. Ian ha qualche incertezza vocale in Thick as a Brick, ma è scatenato con l’armonica nella nuova (ennesima) versione di A New Day Yesterday e nel blues che segue uno splendido duetto tra Dave Pegg e Martin Barre.
Anderson sfoggia stivali, pantaloni aderenti, gillet sul torace nudo e una forma fisica strepitosa; Doane Perry ha una specie di “pigiama” in versione Thick as a Brick.

La scaletta. Ouverture - Minstrel in the Gallery/Cross-Eyed Mary - Kissing Willie - Rocks on the Road - This Is not Love - Serenade to a Cuckoo - Heavy Horses - Like a Tall Thin Girl - The Whistler (instr.) - White Innocence - Living in the Past - Doctor to my Desease - My God/flute solo [o Sleeping with the Dog] - Paparazzi (instr.) - Thick as a Brick - A New Day Yesterday/Kelpie/Bourrée - Reasons for Waiting/Look Into the Sun/Blues (instr.) - Farm on the Freeway - Jump Start - Aqualung // Locomotive Breath/Seal Driver/Black Sunday/Thick as a Brick reprise.

1992 A LITTLE LIGHT GIG

Più che una tournée è stata un’apparizione di mezza estate. Data unica, posta a metà tra il tour europeo acustico di A Little Light Music e quello americano denominato Light and Dark Tour.

Bologna 25 luglio, Arena Parco Nord. Fa molto caldo, il pienone è garantito come al solito. La formazione è rivoluzionata: alle tastiere debutta in Italia Andy Giddings, ancora un po’ acerbo (ma ci avrebbe messo poco ad entrare in perfetta sintonia con la band), alla batteria siede Dave Mattack, ovvero il “tempo” dei Fairport Convention chiamato da Pegg (per Perry è solo una breve vacanza, tornerà presto), gli altri tre elementi suonano ormai con affiatamento perfetto. La “perla” del concerto è sicuramente My God nella versione che sarebbe poi stata registrata nel cofanetto dei 25 anni con God Rest You Merry Gentlemen a ritmo di swing; ma per chi non era riuscito a vedere la tournée acustica europea le sorprese vengono a grappoli: da Life is a Long Song a A Christmas Song, senza contare la parentesi “bachiana” con Pegg e Barre sugli scudi. Ian con la tuba e l’armonica ha un aspetto affascinante, mostra qualche crepa di più nella voce, ma la serata resta memorabile (“La pensione è lontana” titolerà il Corriere della Sera l’indomani). L’unico neo (proprio a volerlo cercare) è l’eccessiva eterogeneità della scaletta, a metà tra l’acustico (poco adatto ad un’arena) e l’elettrico. Per Living in the Past c’è la versione riveduta e corretta dal basso di Pegg: fa un ottimo lavoro, ma l’originale di Cornick era proprio di un altro pianeta.

La scaletta. Introduction (The Whistler) - Some Day the Sun Won’t Shine for You/blues instrumental - Living in the (slightly more recent) Past - Rocks on the Road - Life is a Long Song - Serenade to a Cuckoo - A New Day Yesteraday/Kelpie - The Whistler (instr.) - Kissing Willie - A Christmas Song - Budapest - Pussy Willow (instr.) - Bourrée/Bach’s Double Violin Concerto/Soirée - Doctor to my Desease - Too Old to Rock’nRoll/Look into the Sun/blues instrumental - Farm on the Freeway - My God/God Rest You Merry Gentlemen - Aqualung - Locomotive Breath - Thick as a Brick/Cross-eyed Mary.

1993 LA CELEBRAZIONE

Un quarto di secolo e non sentirlo. Per celebrare i 25 anni di attività i Jethro pubblicano quell’anno il famoso cofanetto con quattro cd e (a fine anno) Nightcap. La lunghissima tournée mondiale non può che essere uno splendido “best of” che recupera brani che non vedevano il palco da tempo.

Trento 6 luglio, Stadio Briamasco. Il tempo non promette nulla di buono. E soffia un vento tale che non si possono montare tutte le luci. Tra la paura che un temporale rovini tutto e con un set di illuminazione decisamente contenuto il concerto però si svolge di fronte ad un numero notevole di fans: almeno 6mila. Se consideriamo la località, il clima, la poca pubblicità e i recenti fiaschi dei tanto strombazzati Bowie e Dylan il risultato è notevole. La serata si trasforma in una grande festa, col pubblico che partecipa con calore alla performance (impeccabile), Dave Pegg che si conferma sempre più uomo da palcoscenico e un Giddings pienamente nella parte. Quanto ad Anderson e Barre, sono ormai una certezza: Ian è in ottima forma (pur qualche incertezza nella voce, dovuta anche al secco portato dal vento, ammetterà poi nel back-stage) e Martin alla consueta bravura aggiunge un pizzico di “temerarietà” osando perfino parlare con il pubblico. Non è da poco per un introverso come lui!

Memorabile l’inizio: un’enorme radio d’altri tempi gracchia dei vecchi blues mentre una donna fa le pulizie sul palco (in realtà è il fido Midge, il responsabile del palco dei Jethro, con una parrucca). Dopo un excursus dalle radici del Delta fino ai Cream si giunge alla celebre Stormy Monday Blues delle Bbc sessions; qui il potente basso di Pegg introduce My Sunday Feeling, Anderson irrompe col flauto sul palco e il pubblico impazzisce. Uno dei migliori inizi di sempre, davvero. Il programma sembra tagliato su misura del... presidente, perché in rapida successione arrivano alcuni dei miei pezzi preferiti: For a Thousand Mothers (dimenticato per decenni dal vivo) con un Doane Perry stellare; With You There to Help Me nella versione dei Beacon Bottom Tapes, l’immortale Black Sunday (vuol dire che la voce c’è ancora...) e una struggente Sossity strumentale. La matrice blues è ancora molto presente: Anderson rispolvera persino So Much Trouble, vecchio cavallo di battaglia dei giovani Jethro al Marquee; “è un brano di Sonny Terry e Brownie McGhee - introduce Anderson - due bluesmen morti. Cioè, non erano morti quando hanno fatto il brano, ma adesso sì”.

Al termine di With You There to Help Me Ian suona quello che è l’embrion di In the Grip of Stronger Stuff che troverà spazio su Divinities due anni dopo. Il dialogo col pubblico è una parte fondamentale dello show: da questa tournée viene introdotto il trittico dei tardi anni Settanta (Songs from the Wood, Too Old e Heavy Horses) che tuttora fa parte della scaletta: l’inizio a più voci è chiaramente registrato e ian ci scherza sopra facendo salire sul palco e facendoli accomodare su un divano alcuni spettatori: sono “loro” nella finzione a cantare Songs from the Wood. Più tardi Martin fotografa il pubblico rovesciando il consueto rapporto tra star e fans! Senza contare che una splendida ragazza cecoslovacca in minigonna viene a distribuire gelati durante Budapest: un’apparizione - a detta di tutti i presenti - memorabile...

Milano 7 luglio, Rolling Stone. Il tonno in scatola deve avere la stessa sensazione che si provava al Rolling Stone, pieno all’inverosimile e con temperature da giungla malese. Il palco (e l’arena) piccolo obbliga a “murare” Doane Perry e il suo esercito di tamburi dietro uno schermo di plexyglass. Il casino resta allucinante, ma forse Anderson non ci rimette del tutto le orecchie. Ian canta meglio della sera precedente nella prima ora e mezza, ma cede alla distanza (da Farm on the Freeway, non eseguita a Trento). Barre suona un suo pezzo dal suo cd d’esordio - che all’epoca è ancora un oggetto misterioso - e la sua presenza si fa sempre più importante: Ian lo coinvolge come a far capire che senza Martin i Jethro non avrebbero ragione di esistere. Due parole sul look: Anderson prosegue sulla falsariga di catfish Rising, aggiungendo una giacca blu improbabile ma d’effetto (la toglie dopo due-tre pezzi), qualche capello in meno, e una tecnica più raffinata al flauto. Altro evento storico è il ritorno di Passion Play dopo quasi vent’anni: solo un breve estratto strumentale (con qualche incertezza di Ian al tin whistle), ma ci si può accontentare. La scaletta. Blues Radio Intro - My Sunday Feeling - For a Thousand Mothers - Living in the Past - Bourrée/Soirée - So Much Trouble - With You There To Help Me/In The Grip of Stronger Stuff - Morris Minus - Black Sunday - Sossity, You’re a Woman/Reasons for Waiting - Songs from the Wood/Too Old to Rock’n’Roll/Heavy Horses - Life is a Long Song - Later That Same Evening (instr.)

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