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JETHRO TULL: IL TOUR 2001

I potentissimi mezzi di Itullians hanno provveduto ad inviare (a sue spese, però) Andrea Lana in avanscoperta a Berlino per raccontarci il nuovo tour dei Jethro. Ammettiamolo: è la solita bieca scusa che tutti noi usiamo con mogli e morose: le si porta in giro per il mondo, ufficialmente per una vacanza, ma casualmente i Jethro suonano proprio lì in quei giorni. Ecco il resoconto di Andrea (beh, solo la parte relativa al concerto, perché l’intero papiro occuperebbe tutta la fanzine. E sì che di moduli dovrebbe intendersene). Le note ai concerti italiani si limiteranno a sottolineare le differenze con i precedenti concerti tedeschi.  

Berlino, Columbiahalle 31-05-2001?

Conoscevo già in linea di massima la scaletta del concerto che era stata preannunciata da Anderson in internet, ma devo confessare che l'esordio con il nastro registrato di In the Grip of Stronger Stuff e, immediatamente a seguire, il riff di basso di My Sunday Feeling mi hanno comunque gettato nel panico: per un attimo ho pensato di aver fatto tutta quella strada per sentirmi (anche se non solo per quello) un concerto identico a quelli del '99 (va be' il rito, ma insomma...). Ho impiegato un po' per realizzare che se il nastro era sempre lo stesso, in realtà il brano di This Was - seppure, anche quella volta, dopo un nastro: la radio che gracchiava brani blues - apriva il concerto del 1993. Non solo, ma per tutto il brano Anderson sembrava sempre in ritardo, e sfasato rispetto alla band, negli stacchi voce/flauto. Anche la successiva Cross-eyed Mary mi lasciava un po' perplesso, suonata a mio avviso molto lenta e con una voce subito un po' in difficoltà. Ma dopo il consueto Hellooo il concerto subisce una netta impennata con una Roots to Branches decisamente superba (forse anche perché non l'avevo mai sentita dal vivo), con gli stacchi voce/bamboo flute questa volte sicuri e perfetti e con un Martin in ottima evidenza. Segue Thick as a Brick, introdotta da uno "WOW!" alquanto ironico di Anderson riferito, se ho ben capito, al concetto di ..."concept-album" e alla "progressive band" che lo suonava nel 1972. Questo pezzo viene ormai eseguito praticamente a memoria e a me personalmente non dispiacerebbe, vista l'ampiezza e la varietà dell'originale, che una volta tanto ne venisse proposto un estratto diverso: ma va bene anche perfetto così come è stato reso a Berlino!

Altra impennata con Sweet Dream: non sono tassonomico e non so da quanto tempo non venisse suonata, ma è stata certamente una piacevolissima sorpresa anche se forse in parte rovinata dall'interruzione per la gag del telefono: non tanto per l'interruzione in sé (lo stacco è stato perfetto e inatteso nel pieno del crescendo degli assolo di chitarra prima e flauto poi), quanto per la ripresa fatta con una lentissima Kelpie (che negli ultimi anni intermezzava A New Day Yesterday), assai meno efficace della ripresa corale che, dopo il telefono, avevamo sentito nel '99 in Hunting Girl. Seguono Hunt by Numbers e Bourée, scritta (e qua l'orgoglio tedesco si esalta) da J.S.Bach "non molti anni prima che nascesse Martin Barre" e introdotta alla maniera di A Classic Case (o forse oggi si dice alla maniera di "David Palmer & Beggar's Farm"?). Assolutamente superba anche la sequenza da SLOB, anzitutto con The Water Carrier in cui viene riproposto il palco che caratterizzava Fat Man e Jeffrey Goes to L.S. con i bonghi di Doane, la tromba di Andy, Martin all'electric bouzouki, Jon ad un'altra strana percussione e con tutti che fanno un po' gli stupidi all'entrata in scena di una orientaleggiante "portatrice d'acqua" minerale, con tanto di velo; quindi The Habanero Reel, ottimamente supportata dalle tastiere di Giddings, e Set Aside con Ian da solo sul palco a cantare senza alcun problema di voce (anzi!), essendo evidente che i brani scritti negli ultimi anni se li è modulati tenendo conto che certe note non se le può più permettere.

Il riposino di Anderson viene fatto sulle note di una Pibroch strumentale suonata dai soli Giddings e Barre che risulta sempre migliore degli intermezzi tratti dai dischi di quest'ultimo. Quindi Farm on the Freeway e il medley Songs from the Wood/Too Old/Heavy Horses che, non so perché, incomincerebbe un po' a stufarmi (mentre così non la pensa l'entusiasta pubblico tedesco che esplode in un boato); questo trittico, sempre uguale (nel 1993, nel 1997 e ora nel 2001), avrebbe bisogno forse di una rispolverata; comunque pure questa esecuzione è perfetta così come la successiva In the Grip of Stronger Stuff che lascia poi il posto a due autentiche (come direbbe Aldo) chicche: Bungle in the Jungle (con tanto di ruggito) e Love Story. Anche qui non sono tassonomico e non so quando fossero state suonate l'ultima volta, ma se anche sapevo che sarebbero arrivate, sentirle per la prima volta (almeno per me) dal vivo è stato sicuramente emozionante: due esecuzioni molto essenziali - quasi spartana, seppur con un bello stacco di flauto, la seconda - e di indubbio effetto.
E poi il "solito" finale, con Passion Jig (e con Hare alla ricerca dei suoi spectacles) a introdurre Aqualung, i saluti e il finto bis con Locomotive Breath che vede finalmente due "grosse" novità: dapprima lo champagne viene portato in scena, ma Giddings non lo beve alla salute del pubblico limitandosi ad appoggiarlo per terra e poi viene abbandonato il "duello" flauto/tastiera, sostituito da uno molto più blando tra Andy e Martin, con Ian che viene a fare da terzo incomodo apparendo a sorpresa dall'altra parte del palco. Quindi Living in the Past e infine una breve versione strumentale di Protect and Survive al posto dell'ormai abituale Dogs in the Midwinter, a fare da sottofondo al consueto lancio dei baloons con grasse risate del pubblico quando ne scoppia uno. Cheerio.
In definitiva un buon concerto, con un avvio forse un po' stentato, ma subito elevatosi ad ottimi livelli, con una band già ben rodata (e come potrebbe essere il contrario dopo tutti questi anni?) e con le "novità" vecchie (Sweet Dream, Bungle e Love Story) e quelle nuove (il trittico da SLOB) più una splendida Roots a primeggiare su tutto e a farne un concerto cui valeva, come sempre, certamente la pena partecipare.
E Berlino? Altro che inizio estate: quattro giorni di pioggia! Diciamo che Berlino era un po' triste, molto grande; però mi sono rotto: torno a casa e mi rimetterò in mutande.

Andrea Lana


Brescia, Palatenda 16-06-2001

 Raramente ricordo una bolgia simile ad un concerto dei Jethro in Italia. Migliaia di persone, un caldo allucinante, un’atmosfera da “evento”. E un gran bel concerto, nonostante il gruppo fosse molto stanco per la trasferta (il pullman su cui viaggiavano i tecnici, Doane e Andy era rimasto in panne in autostrada!) e non abbia alla fine giudicato la performance adeguata (!?). Ian ha cantato in modo molto convincente e la scaletta, rispetto alle date tedesche, ha subito qualche lieve variazione rimanendo poi la stessa in tutte le successive date in Italia:

My Sunday Felling, Cross-eyed Mary, Roots to Branches, Thick as a Brick, Sweet Dream/Kelpie, Hunt by Numbers, Bourrée,  Water Carrier, Habanero Reel, Set Aside, Pibroch, Farm on the Freeway, Songs from the Wood/Too Old/Heavy Horses, In the Grip of Stronger Stuff, Bungle in the Jungle, Love Story, Mayhem Jig, Aqualung, Locomotive Breath/Living in the Past/Protect and Survive, Cheerio.

Il mix fra brani vecchi e nuovi, noti e meno noti, mi sembra azzeccato. Per gli amanti delle statistiche qualche dato sui pezzi più rari: Love Story finora era stata suonata dal vivo solamente nel tour inglese del 1990 in arrangiamento diverso (c’era Martin Allcock al mandolino). Sweet Dream non era in scaletta dal lontano 1982, ed è molto probabile che entrambi i pezzi siano stati proposti grazie a¼ Itullians. Ian, infatti, entusiasta della Sweet Dream dei Souldrivers mi aveva chiesto altre incisioni della band reggiana, e gli ho fatto avere ilk mini-cd che contiene anche Love Story¼

Novità assolute per i concerti italiani sono state Roots to Branches e il terzetto da SLOB; altro “ritorno” quello di Bungle in the Jungle che negli ultimi anni era però già emersa nel tour inglese del ‘95 e in quello europeo del ‘97 in una medley.

Mayhem Jig” è invece un nuovo strumentale composo inizialmente dal riff di “Mayhem Maybe” (controlli il cofanetto dei 20 anni chi non la ricorda) e poi da uno strumentale che Anderson ha elaborato nelle ultime settimane.

Il momento clou del concerto? Quando Ian si è infuriato: alla fine di Farm on the Freeway gli sono entrate nelle micro-cuffie che usa come monitor delle frequenze esterne - credo del radiotaxi - e lui si è scagliato contro i tecnici, interrompendo per qualche minuto il concerto (Giddings, un po’ imbarazzato, ha intonato l’introduzione di Flying Dutchman al piano). Alla ripresa, con il trittico degli anni ’70 a velocità piuttosto sostenuta, Ian ha anche scagliato una bottiglia d’acqua sullo sfondo del palco e poi ha ordinato che venissero ad asciugare il palco perché ne aveva spanta! Al pubblico ha riservato una frase da lord inglese: “Technical problems: if you understand, well. If not, fuck!” Immaginate come si è sentito il presidente in prospettiva di avere Anderson alla convention di lì a 15 giorni¼

Il 16 giugno era anche il compleanno di Doane Perry e Itullians non ha mancato di incontrare il batterista e fare gli auguri a nome di tutti.


Spilimbergo, campo sportivo 17-06-2001

 L’incazzatura ad Anderson, evidentemente, non è ancora passata. Dopo il sound check pomeridiano (con annessa Wond’ring Aloud¼) smonta dall’auto lasciando lo stadio per inveire contro i venditori abusivi di magliette dei Jethro. Per il resto, segnalo acqua a catinelle per tutto il giorno, tanto che le 3mila persone presenti mi sembrano un’ enormità rispetto alle condizioni proibitive. Ian riesce a far smettere di piovere al secondo brano, poi ricomincia quando ormai si stanno esaurendo i bis. Concerto eccellente, probabilmente il migliore del tour italiano. Andrea Lana, pur bagnato, sottolinea che rispetto a Berlino sembra un altro gruppo.


Ancona, PalaRossini 19-06-2001

 Dopo un giorni di riposo in riva all’Adriatico la band è distesa, scherza e ride. Ian mi accoglie nel backstage come fossi uno di famiglia, e io mi tranquillizzo in vista della convention. Sia Ian che Martin restano impressionati dai Beggar’s Farm sentendo il cd con Palmer; Franco Taulino, che aspetta fuori, stenta a crederlo quando glielo dico. E allora, tanto per cambiare, andiamo a rifarci a colpi di verdicchio guidati dall’amico Luciano Zaccari (il tassonomico Semeraro e l’immancabile Cristina completano la truppa). Concerto splendido, l’atmosfera è quella giusta e c’è anche il tempo per preparare i giochi di luce che vengono proiettati alle spalle del gruppo. Highlight della serata una Farm on the Freeway davvero impeccabile.


Roma, Foro Italico 20-06-2001

 Roma, ovvero tappa obbligata da Wazza Kanazza, con il quale (insieme a Fabrizio e Robertone) si scende dai colli per andare al concerto, in una cornice davvero ideale. Spunta anche Kallarma dal pellegrinaggio in Vaticano (!?) mentre il grande Giovanni Zito diffonde il verbo del Flauto nella Roccia.

Lasciatemi spendere due righe per il gruppo spalla: è l’ultima serata dei Young Dubliners in Italia (non andranno, infatti, a Cagliari). Band americana che fonde le proprie radici irlandesi con un rock energico e vitale. Un’ottima band voluta dai Tull, forse un po’ limitata nel repertorio, ma ideale per aprire la serata e scaldare il pubblico.

Il concerto è molto buono, ma secondo me leggermente inferiore ai due che lo hanno preceduto. La voce di Ian a tre quarti della scaletta è un po’ affaticata, ma si riprende bene nei bis. Il pubblico è caloroso ed entusiasta, Love Story e Sweet Dream estremamente potenti e, per  i più, assolutamente inattese

Martin Barre è perfetto come al solito, ma del resto tutta la band è ormai compatta e ben rodata, non per niente -  lo avreste mai detto? - si tratta della più lunga line-up della storia dei Jethro (compie sei anni proprio questo mese)!


Le altre date europee 

maggio-luglio 2001

 Dai reports che ho ricevuto sui vari concerti, è chiaro che quest’anno alla band ci è voluto un po’ di tempo per carburare; i primi concerti tedeschi, sia per la scaletta che per l’amalgama, non sono stati memorabili, anche se sempre di buon livello. In Italia il tour è stato eccellente, a partire dalla voce di Ian che, seppur aiutata qua e là da backing vocals campionate è stata senz’altro la migliore dai tempi di Catfish Rising.

Il successo di pubblico non è mai mancato né in Italia (erano in 4mila anche a Cagliari, stesso set) né in Europa. Tra i brani eseguiti durante il tour che non abbiamo sentito in Italia ci sono A New Day Yesterday, Boris Dancing, uno strumentale di Martin, Secret Language of Birds, Passion Jig.


Le date americane

luglio-agosto 2001

 Poco da segnalare per quanto riguarda la prima serie di concerti in luglio, iderntici a quelli europei con la sola eccezione di Jack in the Green (che noi Itullians avevamo avuto modo di sentire alla convention).

In agosto, invece, pare che Ian abbia avuto di nuovo problemi con il ginocchio, tanto da presentarsi in scena con un bastone, dicendo di essersi fatto male a Cropredy (cosa peraltro che - posso testimoniare - non si era notata); in realtà poi Ian si è mosso bene ed è stato anche su una gamba sola. Non mi è ancora chiaro se sia una trovata tipo arrivare in sedia a rotelle nel 1988 o l’esagerazione di un problema minore. Novitàin scaletta: Skatin’ Away, Black Sunday (strum.) e King Henry’s (!!!).


CONVENTION 2001: DIETRO LE QUINTE

 l 30 giugno il Teatro Magnani di Fidenza ha ospitato un evento davvero unico. Nessuno di noi avrebbe pensato, quando nacque Itullians, di poter avere un giorno Ian Anderson e i Jethro Tull sul palco di un piccolo teatro classico pronti a suonare solo per noi, oppure vedere Anderson e Palmer impegnati in Elegy o, ancora, Clive Bunker e Doane Perry affrontarsi in un vero e proprio duello con due batterie... Tutto questo, lo sappiamo bene, è accaduto. Credo che ora sia inutile, in questa sede, raccontare l’evento per i fortunati presenti che lo hanno vissuto e d’altra parte potrebbe essere un po’ crudele farlo per quei pochi Itullians che non hanno partecipato alla convention. Eccovi allora, nelle pagine seguenti, quello che non avete visto a Fidenza, ovvero la storia della convention “dietro le quinte”.

 INFO SULLA CONVENTION - Sul sito di Marco Laufenberg (www.laufi.de) trovate una decina di pagine (in inglese) dedicate alla convention con circa un centinaio di fotografie e alcuni file audio dei pezzi più rari suonati a Fidenza. All’indirizzo internet http://www.doaneperrypage.de/drumsolos.html potete invece scaricare l’assolo di Clive Bunker e Doane Perry. In tempi brevi potrebbe vedere la luce un numero speciale della fanzine a colori dedicato alla convention; quindi chi ha delle foto belle, curiose, particolari, è pregato di inviarle (anche via e-mail) a Itullians. Ringrazio fin d’ora Carlo Pavone per le sue foto incredibili. L’ARRIVO - Presidente e vice, leggermente nervosi, partono la mattina si sabato 30 giugno verso l’aeroporto Catullo di Verona: alle 11.40 atterra il volo Air Dolomiti da Francoforte con a bordo i Jethro. Per un pelo, scopriremo, perché il promoter tedesco aveva fatto male i conti e l’aereo è stato preso all’ultimo secondo. Prima grana: Doane Perry sta poco bene, qualcosa che ha mangiato in aereo gli è rimasta sullo stomaco. Seconda grana: il bagaglio (in pratica la testata dell’ampli di Martin) è in ritardo, e il presidente comincia a guardare l’orologio con ansia. Anderson sembra disteso ma un po’ freddo, non lascia che nessuno tocchi la sua valigia, e la carica personalmente in auto. Per evitare code in un sabato d’esodo attraversiamo la pianura padana: Mantova, il Po, Colorno. Ian per lo più dorme, ogni tanto guarda il paesaggio e prende appunti. Chissà cosa gli passa per la testa? Chiede informazioni sull’agricoltura locale, sui luoghi di villeggiatura, su mia moglie (mi avrà già chiesto quindici volte se sono sposato, la risposta è sempre “no”¼). Dà un’occhiata al set previsto per la giornata, si accorge che suono il basso (era prevista Serenade to a Cuckoo con Lincoln, Giacomo Lelli, Clive Bunker e il sottoscritto¼) e fa un risolino. Non capisco. Ma capirò più tardi! Doane e Andy dormono come due ghiri. Nello specchietto vedo che nella Subaru del vice-presidente Martin e Jonathan chiacchierano distesi.

RITARDI -  Il ritardo del bagaglio è niente: in teatro il sound check è indietro di un’ora e mezza sulla tabella di marcia! E’ l’inizio di un pomeriggio molto concitato, perché Ian è pignolo e per il sound check dei Jethro ci vorranno ben due ore. Con i seguenti contrattempi: la sera prima è saltato il mixer da palco con 12 uscite, dobbiamo accontentarci di 6; non si riesce, di conseguenza, ad avere due uscite per consentire a Martin Barre di suonare Love Story con i Souldrivers; Anderson fa spostare (!) i catafalchi delle batterie di circa un metro; Gianni & Silvia, Lincoln & Giacomo e i Souldrivers devono aspettare il tardo pomeriggio per il loro sound check; non riesco a mettere il naso fuori dal teatro. Com’era in piazza?

SOUND CHECK  - Ian  sa esattamente quello che vuole, è veloce, preciso, autoritario. E ridicolo: in pantaloncini corti, calzini e mocassini sembra un turista tedesco in vacanza. Ma vederlo con l’acustica provare nel teatro vuoto provoca un principio d’infarto a Max Faletti. Stupendo! La band è di una cortesia unica, sorridente (nonostante la stanchezza) e ben disposta.

 CORREZIONI - All’ultimo minuto siamo costretti a ritardare l’apertura del teatro per completare le operazioni sul palco e a comprimere le esibizioni dei primi artisti (che ringrazio per la comprensione e la professionalità), Anderson si prepara da solo il porta-flauto (adesivo nero e tre bottigliette di plastica tagliate!), sceglie la chitarra (la Guild di Gianni Mocchetti), e ripassa in camerino King Henry’s Madrigal e Beside Myself. Doane chiacchiera con Clive, Andy scruta il meglio della “fauna” locale, Jonathan dorme in piedi, David ascolta le prove seduto in platea, Martin si beve un cappuccino sul palco.

LA SCALETTA - Anderson è stranamente l’ultimo a presentarsi all’appello nella hall dell’albergo (adesso posso dirlo: era il Porro di Salsomaggiore) alle 18.40 per tornare in teatro. Solo in macchina distribuisce il set definitivo agli altri del gruppo: lo ha appena corretto dal suo pc portatile. Andy sgrana gli occhi quando legge With You There to Help Me!

Una curiosità sugli interventi di Anderson: non ha provato né con i Souldrivers né con i Beggar’s Farm. Si è limitato a scambiare due parole, tessendo le lodi alla voce di Graziano Romani e alla preparazione tecnica dei Beggar’s Farm. 

DIETRO LE QUINTE - Ian è incredibile: quando sale sul palco è estroverso e coinvolgente, ma appena esce dietro le quinte è serissimo e chiuso in se stesso, non parla con nessuno, nemmeno con gli altri Jethro. Segue con molta (ma davvero molta) attenzione Clive Bunker attraverso una fessura delle quinte; Doane Perry si diverte a scattare foto digitali a destra e a sinistra. Il presidente invece ne combina una delle sue: ignaro che David e i Beggar’s si fossero messi d’accordo per non eseguire Rainbow Blues (non l’avevano provata a sufficienza), convince David a farla; nessuno se lo aspetta sul palco e se aggiungete che il povero David era senza monitor sul palco (era staccato!!), ecco che l’unica - più che comprensibile - pecca nell’esecuzione ha un colpevole. Beggar’s, mi perdonate?

LA CENA - Quando mi presento sono tutti seduti, e Martin Barre è in giacca blu. Resto sorpreso, poi mi accorgo - quando Martin va al buffet  - che sotto ha i pantaloncini corti. Senza parole. Anderson è con Palmer, racconta di quella notte a Budapest quando Dave Pegg, nel 1986, mise un piede nel water e tirò l’acqua pensando di farsi  risucchiare! Era piuttosto ubriaco, mentre Ian tornò in albergo e scrisse di colpo Budapest¼ Per Martin, come sempre, vino bianco. A tavola non si può fumare (David, Ivy, Andy e Persio si rifugiano in un angolino della sala) e Anderson si scopre un amante del minestrone. Gira “armato”, come Doane Perry: ha il suo peperoncino personale in tasca e ne fa abbondante uso.

LA PARTENZA - Tre ore di sonno, un’altra levataccia. Bisogna essere a Linate intorno alle 9: un Boeing Lufthansa riporta i nostri sei (c’è anche Mick Downes, il loro tecnico) in Germania, dove la sera è previsto l’ennesimo concerto. Ian al mattino è molto sveglio e loquace; parla di mucca pazza, di afta epizootica, di criminologia, di Paul McCartney (non ricordo a che proposito), di Cat Stevens (non lo può sopportare), di Syd Barrett (lo adorava fin da ragazzo, ma non è mai riuscito a parlargli, “è come abbracciare un fantasma”), della sua raccolta di armi antiche, della stampa italiana (vuol sapere in cosa consiste il mio lavoro, in pratica), persino di Formula Uno (per uno che non guida¼). L’addio è un po’ triste, come tutti gli addii: “Ci vedremo¼ da qualche parte” taglia corto Ian. Sa che le occasioni non mancheranno. Tutti i Tull ringraziano me e Alberto. Ma siamo noi, in realtà, a dover ringraziare loro. Quelle 24 ore non le potrò mai dimenticare.

RINGRAZIAMENTI - Quello che dimenticherò, invece, è senz’altro il nome di  qualcuno, ma - come si suol dire - senza di loro non ce l’avrei fatta! Dunque grazie a: Claudio, Gianfranco, Giorgio e Mario (i Fidenza boys); Alberto “Fangala”, Aldo “Wazza”, “Doctor” Angelo, Franco “the voice”, Giorgio “the brother”, Maurizio “Kallarma”, Persio “webmaster” (la vecchia guardia in ordine alfabetico); il Circolo Avis di Fidenza; Dino, il nostro “faro”; tutti gli Itullians; gli stranieri, e in particolare Ulla, Marco, Dave Rees, Keith “the Jacket”, Gidi.


 Il SET

  • GIANNI & SILVIA - Dun Ringill, Under Wraps, Set Aside, Circular   Breathing, Jeffrey Goes to Leicester Square.
  •  LINCOLN  - Another Christmas Song, Living in the Past, Boris Dancing, Bourrée,  The Little Flower Girl, Serenade to a Cuckoo.
  •  SOULDRIVERS - Love Story, Sweet Dream (con Ian Anderson).
  •  DAVID PALMER & BEGGAR’S FARM  - Wind Up/The Whistler/The Third Hoorah, Taxi Grab, Cathedral, Moths, Coronach, Rainbow Blues, King Henry’s Madrigal (con Ian Anderson), Elegy (solo Palmer e Anderson), Apocalypse.
  •  BEGGAR’S FARM & CLIVE BUNKER  -  Cross-eyed Mary, A Song for Jeffrey, To Cry You a Song, Nothing is Easy (assolo con Doane Perry), Aqualung.
  •  JETHRO TULL  -  SLOB (solo Ian Anderson), Some Day the Sun Won’t Shine for You, Jack in the Green, A New Day Yesterday/Kelpie, My Sunday Feeling (con Clive Bunker), Bourrée (con Clive Bunker), Morris Minus, Mayhem Jig, With You There to Help Me, Locomotive Breath (con Brian, Peppe e Cristina), Locomotive Breath (con Clive, David e Aldo).  


CROPREDY 2001: IL RITORNO DI JOHN BARLEYCORN

 Un pass backstage per il festival di Cropredy: l’occasione era troppo ghiotta per non coglierla al volo. Così, grazie a Ulla e Marco (ricordate? sono gli organizzatori delle convention tedesche) volo in Inghilterra per uno dei grandi appuntamenti musicali dell’estate da oltre vent’anni. E’ la grande festa dei Fairport, tre giorni di musica, migliaia di persone, milioni di litri di birra, miliardi di ettolitri di acqua (dal cielo). E anche - per il presidente di Itullians -   l’occasione per trascorrere un po’ di tempo con John Evan, Clive Bunker e David Palmer a ridosso del festival e di incontrare il gotha dei Tull fans, da David Rees a Martin Webb, dal folto gruppo tedesco all’americano-israeliano Dave Barash, al capo del fan club svizzero Sergio Gruber. Unica differenza tra me e gli altri è che ho scelto un letto caldo, anche se a 20 minuti di distanza, anziché una tenda umida nel fango. Starò invecchiando? Accidenti, sono pur sempre le mie vacanze!

Ogni anno sul palco della verde Cropredy (nell’Oxfordshire, vicino a Banbury) si alternano  ospiti prestigiosi del panorama folk (ma non solo); per chi è appassionato del genere, basteranno pochi nomi per rendersi conto della portata dell’evento: Ashley Hutchings, Martin Carthy, Dave Swarbrick, Steve Ashley, Vikki Clayton, Martin Allcock, Steve Gibbons, Lonnie Donegan, John Kirkpatrick ecc.

Ma per noi ci sono ospiti più speciali di altri. E quest’anno, pur non annunciato ufficialmente (ma il tam tam fra gli addetti ai lavori è stato efficace) c’era niente meno che Ian Anderson! Non solo: inutile aggiungere che intorno ai Fairport, protagonisti anche della nostra convention nel ’99, ruota da anni un piccolo esercito di ex-Tull; nell’attuale formazione insieme all’immarcescibile Dave Pegg troviamo Gerry Conway alla batteria mentre il violinista e mandolinista Chris Leslie qualcuno lo ricorderà nel tour di Divinities accanto a Ian nel ’95. Se aggiungiamo la presenza di Martin Allcock, che dal 1988 al 1991 fu tastierista (e tuttofare) dei Tull, eccoci praticamente alla presenza dell’ennesima incarnazione  dei Jethro.

L’appuntamento con Ian, dopo le prove svolte a Banbury il il 6 e 7 agosto, era per la serata conclusiva di sabato 11 (il giorno dopo il 54° compleanno del pifferaio) durante il concerto-fiume - oltre tre ore - con cui i Fairport concludono il festival. Ian è arrivato nel tardo pomeriggio con suo figlio James,  che è stato il suo tecnico sul palco, imbacuccato in un colbacco nero, particolarmente adatto al freddo di Cropredy.

Conosco ormai abbastanza Ian per rendermi conto che non si diverte molto in occasioni come queste; da un lato è abituato ad avere la ribalta tutta per sé, dall’altro si trova a disagio quando  palco e backstage sono troppo affollati e si trova costretto a destreggiarsi tra mille convenevoli; nei momenti privati Ian vuole tranquillità e riservatezza, sotto i riflettori vuole essere protagonista, perché è un leader naturale ed è invece impacciato quando deve fare da spalla. Comunque, non poteva dire “no” ad un invito a Cropredy (una bella promozione in vista del tour inglese di novembre)  anche se mi pare di aver colto che i rapporti con Pegg siano piuttosto freddi e con gli altri Fairport cordiali ma non in grande intimità. L’impressione è che, temendo scarsa affluenza per i problemi causati in Inghilterra dall’afta epizootica, Pegg abbia sfruttato il nome di Anderson (c’erano moltissime persone venute da molto lontano solo per lui!) senza poi nemmeno citare i Jethro quando lo ha chiamato sul palco (!?) ed evitando accuratamente di nominarlo (unico fra tanti, anche “minori”) quando, per il consueto bis di Meet on the Ledge, ha invitato tutti gli ospiti sul palco per unirsi al coro. Ian è apparso comunque in un angolino, visibilmente a disagio e nervoso, ha mimato un paio di coretti (come chi in chiesa apre la bocca ma non sa le preghiere...) e poi è fuggito da Cropredy 10 minuti dopo il concerto, evitando il party. Sono curioso di vedere cosa apparirà nel Dvd che i Fairport stanno preparando per l’evento (e che, posso dirvelo subito, è imperdibile perché il concerto è stato grandioso).

Ma torniamo a Ian. Vi dicevo che non è la sua prima apparizione a Cropredy; per chi fosse interessato, è ora in vendita (Woodworm Records WR3CDo37, vedi www.fairportconvention.com) il bel triplo cd The Other Boot/The Third Leg coi concerti di Cropredy ‘86 e ’87; figura anche Serenade to a Cuckoo con Ian e Martin al fianco di Pegg e Allcock.

Sabato 11 agosto Ian Anderson è salito sul palco poco dopo le 10, e ci è rimasto per quasi mezz’ora suonando sei brani. Pantaloni neri, maglia bianca e gillet scuro, colbacco calato sulla testa e flauto in mano, Ian è partito con Life’s a Long Song nella versione lenta dei Fairport (è uno dei brani preferiti da Pegg, che l’aveva incisa nel tributo americano ai Jethro) alternandosi con Simon Nicol alla voce. Purtroppo i livelli sonori non erano all’inizio adeguati, e del resto gestire una ventina di ospiti con caratteristiche molto diverse tra loro non era facile, comunque il volume del flauto dopo un paio di pezzi e quello della voce dopo quattro sono stati portati al top (immagino che nel Dvd il risultato sarà migliore).

Un capolavoro di stile e tecnica l’intervento di Anderson in Portmeirion, brano del violinista Ric Sanders apparso in Expletive Delighted (1986), l’unico album strumentale dei Fairport. E’ stato riarrangiato e così apparirà nel prossimo, imminente, cd della band con Anderson al flauto. L’assolo centrale di flauto vale da solo il prezzo del cd, anche se i brani nuovi prsentati a Cropredy sono tutti molto convincenti.

Quindi è stata la volta di John Barleycorn, e mi è venuta la pelle d’oca. La versione era quella, molto tradizionale, apparsa in Tipplers’Tales (1978). Di nuovo Nicol e Anderson ad alternarsi nelle strofe e il solito ottimo supporto con il flauto. La gente era in delirio, e gli applausi tributati ad Anderson sono stati pareggiati solamente da quelli per il grandissimo Dave Swarbrick, ormai in sedia a rotelle, nel suo commovente intervento a metà concerto.

Credevo fosse finita così (queste erano almeno le “voci” più accreditate: tre pezzi), invece Ian è partito con Some Day the Sun Won’t Shine for You seguito dalla ripresa strumentale di A Little Light Music proprio come alla convention di Fidenza. La presenza sul palco anche dell’ospite Martin Allcock alla chitarra, oltre a Gerry Conway alla batteria e Dave Pegg al basso (più, nei brani precedenti,  Leslie, Nicol e Sanders) ha di fatto incarnato una strana formazione dei Tull, tutt’altro che disprezzabile. In  Serenade to a Cuckoo è stato il violino di Ric Sanders a fare da contraltare al flauto, quindi è partita una Locomotive Breath potentissima e coinvolgente (Maartin “Metal” Allcock, come lo ha chiamato Anderson, è decisamente migliorato!). “See you in november”, ha poi salutato Ian. Credete: quella mezz’ora è valsa tutta la pioggia che mi ha inzuppato le ossa a Cropredy (a proposito: grazie per il Barbour, Clive!)... 

IL SET - Life’s a Long Song / Portmeirion / John Barleycorn / Some Day the Sun Won’t Shine for You / Serenade to a Cuckoo / Locomotive Breath.


11 SETTEMBRE: A CLASSIC ANDERSON

 Andrea Griminelli è un flautista. Un flautista classico, cresciuto tra conservatorio, spartiti, teatri e orchestre. Ma è anche un musicista a 360 gradi,  capace di entusiasmarsi per Sting quanto per Bach. Ecco allora che Andrea, che ha curato la bella rassegna “MusicaRE” a Reggio Emilia, per la “Notte dei flauti” in programma l’11 settembre ha invitato niente meno che Ian Anderson: un omaggio a un flautista “diverso” che ha dato molto alla diffusione di questo  strumento negli ultimi trent’anni, ma anche una contaminazione fra “sacro e profano” davvero unica.

Ian, invitato in estate, si è prima consultato con Palmer (che ha fornito le partiture per orchestra, le stesse che scrisse 15 anni fa per “A Classic Case”, poi ha deciso che “un invito di un flautista italiano a suonare i classici dei Jethro con un’orchestra russa di 60 elementi era troppo intrigante per rifiutare”.

E così, 70 giorni dopo l’apparizione al Magnani di Fidenza, ecco di nuovo Anderson in un teatro classico in Emilia! Roba da non credere. Per i botteghini è stato un bel colpo: biglietti esauriti (e parecchi Itullians c’erano¼) in pochi giorni dall’annuncio della presenza di Ian. Per il vice presidente del fan club  c’è stato invece il rischio di un colpo apoplettico: pensate, Anderson al Teatro Valli, a non più di 100 metri da dove ha vissuto per anni coltivando la passione per i Jethro. Da non credere nemmeno questo.

Quando poi il concerto si è allargato a una “due giorni” trascorsa da me e Alberto con Ian e Shona (la moglie) fra ristoranti, negozi di Reggio, prosciutto e parmigiano reggiano, si è raggiunta l’apoteosi. E abbiamo scoperto alcuni lati di Anderson ancora ignoti: ormai ci si conosce piuttosto bene e, vista la confidenza, Ian si abbandona spontaneamente a battute di ogni genere che sembrano contrastare con quel suo sguardo sempre serio e professionale che indossa quando è in pubblico (ma non sul palco). Ecco, allora, una breve cronaca di quanto accaduto.

LUNEDI’ 10 - Ian arriva a Reggio nel pomeriggio; alle 19 sono previste le prove con l’orchestra in teatro. Prima sorpresa: c’è Jonathan Noyce al basso, accompagnato come sempre da Raffaella (giovani fans siete avvertite: Jon non è “available” al momento!). Seguiamo le prove insieme a Shona dal primo palco a sinistra e capiamo subito che Ian è completamente a suo agio, nonostante l’orchestra. Anzi, si diverte. Oltre ai giovani musicisti russi della Marijnski Orchestra di San Pietroburgo, c’è un trio “elettrico”: Massimo Manzi alla batteria, Roberto Cecchetto alla chitarra e appunto Jonathan al basso.

Ian zoppica e ci racconta che si è fatto male proprio a Cropredy (non me ne ero accorto, giuro): “Alla fine di Locomotive Breath mi sono girato di scatto verso Ric Sanders, il piede è rimasto fermo e il ginocchio sinistro ha fatto un rumore che penso abbiate sentito anche in platea! Non vi siete accorti di nulla? Si vede che dopo tanti anni trascorsi sul palco so recitare bene, ma che dolore!”. Per fortuna non sono stati interessati i legamenti e pian piano Ian sta ritornando alla normalità.

A cena prima infornata di battute varie e, ovviamente, Habanero in abbondanza: Ian lo coltiva, lo trita e lo tiene sempre nel taschino. Poi lo butta ovunque: pasta, minestre, carne¼ Ci ricorda anche che dopo aver maneggiato il peperoncino è bene non sfregarsi gli occhi, non andare in bagno e non toccare la moglie!

MARTEDI’ 11- Questa data purtroppo la ricorderemo a lungo, ma non per il concerto al Valli. L’attacco alle Twin Towers è stato ovviamente motivo di discussione anche con Ian e Jon, molto scossi, e tra l’altro preoccupati che Doane Perry non riuscisse a volare da Los Angeles in Europa, dove stava per iniziare il tour in Scandinavia (sul sito ufficiale Doane racconta i particolari del viaggio rocambolesco).

Ma veniamo al concerto che si decide comunque di fare, dopo un minuto di silenzio e alcune parole in ricordo delle vittime. Non mi dilungherò sulla parte classica, che ha visto protagonisti - tra gli altri - lo stesso Griminelli, il bravissimo Giovanni Antonini al flauto diritto e Raffaele Trevisani, la cui fantasia sulla Carmen di Bizet mi ha impressionato.

Ma quando, a fine serata, è entrato in scena Ian, dai palchi fin lì compassati del Valli è esplosa un’ovazione. E Ian non ha tradito le aspettative, suonando alla grande e lasciandomi solo il rammarico di non aver sentito flauto e orchestra senza basso e batteria (la stessa critica - condivisa oggi da Palmer - che mi sento di fare a “A Classic Case”).

Tre i brani eseguiti: una lunga e coinvolgente Thick as a Brick, la sempre commovente Elegy e una straordinaria Bourrée condivisa con Griminelli: durante l’assolo (con applausi a scena aperta) anche i flautisti classici guardavano interessati. E allora Ian li ha invitati sul palco per una Bourrée a sette flauti (!) eseguita come bis, per poi portare Griminelli sul pericoloso terreno dell’ improvvisazione, ovvero quanto di più lontano esista dalla preparazione classica. E al pubblico, non pago, Ian ha suonato anche uno strumentale che oggi fa parte del set dei Jethro (ancora senza titolo, è quello che ricorda Mayhem Maybe) subito supportato da Jonathan e dall’ottimo Manzi alla batteria. Per mezz’ora siamo riusciti a dimenticare la tragedia di New York. Grazie, Ian. 

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